Fig. 1: Manifesto dell’UFE

Avete l’intenzione di ripetere questa manifestazione ogni dieci anni. Perché proprio ogni dieci anni?
Non è così. Il progetto avrà cadenza annuale, nel senso che ogni anno sarà riproposto, riaggiornato e ricalibrato secondo le esigenze che via via dovessero emergere. Avrà, però, una prospettiva decennale, essendo legato alla mia posizione istituzionale di Sindaco, che come è noto, in Italia può rimanere in carica per un periodo massimo di dieci anni. Voglio far presente che, in generale, qui in Italia, i fondi per i progetti culturali sono molto scarsi, per cui diventa davvero difficile portare avanti obiettivi ambiziosi come l’UFE. In ogni caso, un buon amministratore si deve battere per far sì che attraverso la tutela della lingua madre, si possa sviluppare anche un’occasione di crescita occupazionale, a vantaggio soprattutto dei giovani che hanno scelto di vivere a Faeto.
La regione non vi aiuta con contributi mirati?
Come dicevo, la Puglia è l’unica regione d’Italia a non aver ancora legiferato in materia di tutela delle lingue minoritarie, per cui in assenza di qualsivoglia normativa è impossibile procedere alla erogazione di finanziamenti o contributi in merito. Nei mesi scorsi, tuttavia ho portato il problema delle minoranze linguistiche all’attenzione dell’Assessore delegato, ricevendo ampie assicurazioni d’interessamento. Speriamo bene!
Quali lingue minoritarie esistono in Puglia?
Il francoprovenzale, a Faeto e Celle, l’arbëresh, a Chieuti e a Casalvecchio, e il griko, in molti paesi del Salento.
A Faeto, i giovani crescono normalmente con tre idiomi: la lingua francoprovenzale, un dialetto pugliese e la lingua standard, cioè l’italiano. Quale dialetto pugliese influisce la parlata dei Faetani?
A Faeto, in realtà, ultimamente convivono quattro lingue: nelle famiglie con genitori faetani si parla quasi sempre il francoprovenzale; in alcune famiglie si parla un dialetto apulo-sannitico che è comune nei paesi limitrofi; si parla poi il dialetto foggiano e, naturalmente, l’italiano come lingua nazionale. Nelle scuole di Faeto, poi, gli alunni apprendono anche le lingue straniere: l’inglese e il francese. Quindi, i bambini che vivono a Faeto oggi, in realtà hanno la possibilità di parlare, sia pure a livello rudimentale, almeno quattro lingue. Il mio impegno in qualità di Sindaco è e sarà quello di far sì che il francoprovenzale resti la lingua di comunicazione ordinaria o quantomeno prevalente.
Fig. 2: Veduta di Faeto

Quante persone parlano ancora attivamente il francoprovenzale a Celle San Vito e Faeto?
Se consideriamo che a Faeto e Celle San Vito in totale vivono meno di mille persone, stimo in circa 400 quelle che parlano correntemente la lingua francoprovenzale.
Tra Celle e Faeto?
Sì, tra Celle e Faeto.
In quale occasione usate normalmente la lingua francoprovenzale?
Il francoprovenzale io lo uso sempre e senza eccezioni, parlando con i miei compaesani. Più specificamente, parlo il francoprovenzale con le mie sorelle, con i miei fratelli, con i miei nipoti che hanno sette e dieci anni, con i miei zii e con i miei cugini.
Significa che sia in municipio, sia in piazza si parla e si sente ancora il francoprovenzale?
Sì, sì. Sono orgoglioso di essere un faetano “doc”: i miei antenati, al seguito di Carlo I d’Angiò, vennero in Puglia e dettero origine all’attuale abitato di Faeto. Tutti i dipendenti, in municipio, parlano il francoprovenzale. Con loro mi esprimo sempre in francoprovenzale. Nelle piazze e nelle strade si sente costantemente il francoprovenzale: è sicuramente una lingua “viva”. Si sente anche qualcuno che si esprime in italiano.
Fig. 3: Faeto

In lingua nazionale, non in un dialetto pugliese?
In italiano, solo in italiano.
Sull’origine del francoprovenzale a Celle a Faeto esistono due ipotesi. La prima parla di soldati angioini, raggiunti poi dalle loro famiglie, dopo la battaglia del 27 agosto 1269 si siano sistemati a Faeto, e la seconda sostiene, che i primi a parlare il francoprovenzale a Faeto e Celle siano stati i valdesi venuti verso il 1400. Quale delle due ipotesi secondo Lei è la più probabile, la più sostenibile?
La tesi più sostenibile oggi, stando alle ricerche che anche io, come studioso, ho condotto ultimamente, rimane sempre quella che fa discendere la nostra origine a quel nucleo di soldati angioini impegnati nella guerra contro i saraceni a Lucera alla fine del 1269.
Non esiste nessun documento storico che sostiene l’ipotesi dei valdesi?
Sì, intorno al 1400 molte famiglie valdesi, perseguitate dal Sant’Uffizio, trovarono rifugio a Faeto. Sostenere, però, che l’origine del francoprovenzale di Faeto sia dovuta alla presenza dei valdesi è senz’altro errato, dal momento che questa ipotesi, pur se suggestiva, non è corroborata da idonea documentazione.
Fig. 4: Centro storico di Faeto

Il professor Kattenbusch è stato a Faeto negli anni settanta per studiare il francoprovenzale a Faeto e a Celle San Vito. Come risultato di questa ricerca lui ha pubblicato la sua tesi di dottorato con il titolo “Das Frankoprovenzalische in Süditalien”. Ormai sono passati più di trent’anni. Uno studioso contemporaneo, potrebbe rifare una ricerca simile o troverebbe qualche difficoltà?
Quando venne Kattenbusch io avevo appena 14 anni e frequentavo il primo anno del liceo classico a Lucera; subito nacque tra noi una grande amicizia, rimasta inalterata nel tempo.
Lui venne a Faeto in un periodo poco felice. Era solo e cercava alloggio. Fu accolto con molta gioia dalla mia famiglia e da altre famiglie del paese. Era un signore al quale si potevano confidare tutti i segreti della nostra lingua. Dopo il soggiorno del ’74 e ’75 è tornato più volte fino alla fine gli anni settanta, per terminare la sua tesi “Das Frankoprovenzalische in Süditalien” pubblicato nel 1982 a Tübingen. In questo lavoro ho dato un notevole contributo sia a livello sintattico, morfologico, fonetico e grammaticale, sia a livello di “spontan text”, come diceva lui. Ricordo che passava intere giornate a registrare e a prendere appunti.
Fig. 5: D. Kattenbusch e G. Cocco a Faeto nel 1980

Oggi qual è la situazione?
Se tornasse oggi uno studioso tedesco secondo me non troverebbe tante difficoltà come allora. Perché, nonostante le profonde trasformazioni verificatesi in questi ultimi decenni, il francoprovenzale non ha subito sensibili modifiche. Certo, si stanno intensificando alcune “minacce” di cui tener conto, come i matrimoni misti, la denatalità, il depauperamento demografico del paese, che alla lunga potrebbero ridurre il francoprovenzale ad un fatto “di nicchia”, scollegato dal contesto storico sociale.
Ciò vuol dire che ci troviamo in una fase di transizione?
Penso di sì. Di qui la necessità di interventi mirati, come l’Università Francoprovenzale d’Estate, una incisiva legislazione regionale e nazionale, la riproposizione dello sportello linguistico provinciale, l’incentivazione di pubblicazioni riguardanti il francoprovenzale .
Solo così si riuscirà ad arginare il danno che può venire invece da uso distorto oppure da un “non uso” della lingua francoprovenzale. Questo è l’obiettivo che io mi sono posto come attività amministrativa e come attività di sindaco. E penso di riuscire, perché abbiamo tutte le caratteristiche e i presupposti per fare in maniera tale che la lingua non muoia e rimanga sempre un elemento vitale.
Lei ha detto che il professor Kattenbusch è stato più volte a Faeto. In tutto, quanto tempo ha trascorso a Faeto per le ricerche per il suo studio?
Eh, è stato qua sette o otto anni sicuramente. Dal mio primo anno di liceo, anno scolastico ’73/’74, fino agli inizi degli anni ottanta.
Fig. 6: Centro storico di Faeto

Sette, otto anni? Di continuazione?
No, no. È venuto a intervalli. È venuto per un anno. Poi non è venuto per due anni, poi è tornato un altro anno anche in periodi diversi. Come in un periodo invernale, quando c’era tantissima neve. Trascorrevamo le serate in compagnia e organizzavamo con altri giovani del paese delle belle festicciole, incontri felici e gioiosi. Lui era molto bravo, era molto disponibile, molto scherzoso, raccontava barzellette, indovinelli; mi ricordo che parecchie sere – avevo 14 anni – andammo da un vecchietto del paese che si chiamava Domenico Ianelli, uno di quei cittadini che conosceva meglio degli altri le parole in disuso, termini che già negli anni settanta non si usavano più. Questo signore invece li conservava, scriveva anche dei versi, sia pure in maniera semplice, perché non aveva studiato, era un falegname. E mi ricordo che Dieter ci teneva particolarmente a questi incontri con il signor Domenico Iannelli. E voleva che ogni volta che andava da questo signor Domenico andassi pure io. E qui, tra una parola e l’altra, rigorosamente in faetano, si finiva sempre con un buon bicchiere di vino e con tante domande che mi poneva: cosa fai e cosa non fai, quando ti sposi, quando non ti sposi. Insomma, più che amici ci sentivamo quasi fratelli.
È stato duro a Faeto l’inverno quell’anno?
Durissimo, è stato durissimo. Proprio quell’anno, e precisamente alla fine del 1979, ci fu una nevicata storica, che bloccò tutto il paese, isolandolo per quindici giorni. Ricordo anche che il paese rimase senza energia elettrica per molti giorni, e Dieter fu costretto a utilizzare un piccolo registratore alimentato a batterie.
Durante queste registrazioni traspariva palese una grande passione, un grande entusiasmo per tutto ciò che riguardasse il francoprovenzale. Anche per questo motivo ho dato anima e cuore per aiutarlo.
E da allora non ha più visto Dieter?
Sì, da allora non ho più visto Dieter. Mi sono sentito con lui alla fine del 1998, prima che fosse pubblicato il mio volume Le uaje de ciannu (Le voci di casa), il primo testo in assoluto concepito e scritto in francoprovenzale, nel quale ho utilizzato per la prima volta un codice linguistico, con regole certe e precise. Letti in anteprima i miei testi, Dieter mi onorò di una sua bella e appassionata prefazione, nella quale ha voluto ricordare quegli anni in cui veniva a Faeto, i nostri lunghi incontri, gli incontri con i miei genitori e con altri amici del paese, con i quali condividemmo lunghe notti invernali.
Fig. 7: Strada decorata a Faeto

Alla fine avete parlato in francoprovenzale o in italiano come all’inizio?
All’inizio si colloquiava in italiano, ma col passar del tempo Dieter riuscì a impadronirsi del nostro idioma in modo da comprendere e parlare il francoprovenzale correntemente. Molti dialoghi tra me e lui, tra mio padre e lui, tra mia madre e lui, si tenevano in francoprovenzale. Soprattutto nei suoi ultimi soggiorni a Faeto abbiamo dialogato a lungo esclusivamente in lingua francoprovenzale.
Quindi anche uno straniero può essere in grado di imparare la lingua francoprovenzale di Faeto?
In linea di massima sì, però ci vuole inclinazione, tempo e passione. Dieter aveva queste doti, e grazie a esse riuscì ad appropriarsi della nostra lingua e a parlarla in maniera sistematica.
Da quanto tempo esistono gli sportelli linguistici e di che cosa si occupano?
Lo sportello linguistico è nato nel 2004 per iniziativa della provincia di Foggia, con fondi previsti dalla legge 482 del 1999. È stato attivo per cinque anni, e ha prodotto una grammatica, un vocabolario, un glossario e alcuni testi, con la lingua codificata. Nel 2010 ha esaurito la sua funzione, perché sono venuti meno i finanziamenti pubblici. Oggi mi sto adoperando per reperire le risorse giuste per poterlo riattivare al più presto.
Avete contatti con la Francia, col Piemonte, con la Valle d’Aosta, cioè con altri territori dove si parla ancora il francoprovenzale?
Oggi potete constatare che a questa prima edizione dell’Università Francoprovenzale d’Estate sono giunte a Faeto un centinaio di persone dalla Francia, dal Piemonte, dalla Valle d’Aosta, da Teramo. Da anni curiamo il gemellaggio con la Valle d’Aosta, fondamentale perché coinvolge le scuole di Faeto, che partecipano con vari progetti e iniziative al concorso Abbé Cerlogne. Sicuramente mi adopererò per instaurare rapporti sistematici con la Francia.
Con una Francia che da secoli ha oppresso tutte le lingue minoritarie sul suo territorio?
In Francia queste tendenze oppressive ultimamente stanno cambiando. Tant’è che costatiamo grande considerazione per il nostro francoprovenzale. Tenga conto, poi, che a Faeto ci sentiamo quasi più francesi che italiani. (ride)
Fig. 8: Munecipje di Faeto

Secondo Lei, quanti pugliesi sanno che esiste un’isola linguistica francoprovenzale in Puglia?
Da 60 a 70 per cento dei Pugliesi sa che esiste una colonia francoprovenzale, anche perché Faeto è nota per essere il paese più alto di Puglia con i suoi 866 metri sul livello del mare ed è meta di un turismo estivo. Cittadini dalla provincia di Foggia e dalla provincia di Bari da sempre vengono a villeggiare a Faeto. Ecco perché la platea di quelli che sono a conoscenza di questa particolare enclave nel sud Appennino Dauno va sempre più aumentando.
Perché in Italia lo sanno pochi?
Fuori dai confini regionali, in effetti, la conoscenza è limitata. Sanno della nostra minoranza linguistica quasi esclusivamente gli studiosi del settore. Lo sforzo nostro è quello di far sì che una platea più grande sappia di questa realtà. Ma la cosa più importante oggi è che a Faeto, come ho già detto in altre occasioni, gli abitanti prendano coscienza che la cura e la pratica della lingua significa essere fieri della propria identità e della propria storia. L’intero paese si deve attivare per non far cadere oblio la sua cultura d’origine e le tradizioni, indissolubilmente legate al francoprovenzale. Perché là dove dovesse morire la lingua francoprovenzale, inevitabilmente morirebbe anche il paese.
Quindi per un futuro prospero del vostro paese che cosa vi siete proposto?
Poiché ho sempre il futuro davanti, spero con questa iniziativa di persuasione di fermare l’emorragia della “nostra parlata”. Sto facendo un’opera di persuasione nelle singole famiglie e presso le istituzioni scolastiche, giacché considero la scuola una delle poche agenzie educative, certamente decisiva per il mantenimento e l’uso del francoprovenzale. L’obiettivo è che la lingua si continui a parlare, in caso contrario, al massimo tra vent’anni, saremo costretti a chiudere completamente il paese.
Se io tornassi fra cinquanta anni, sentirei parlare ancora il francoprovenzale a Faeto?
Dipende; se non ci sarà un’implosione demografica, allora credo di sì. L’auspicio è che tutte le iniziative, quelle già fatte e quelle in cantiere, portino alla sopravvivenza del francoprovenzale.
C’è speranza?
Sì, se non fossi così convinto, non m’impegnerei con tutta questa energia ed entusiasmo. Tutto il mio lavoro è avvolto da un filo di speranza, che m’incita a fare il massimo per salvare la lingua madre, cioè il francoprovenzale di Faeto.
Caro sindaco, La ringrazio per il colloquio.
Grazie a lei.